1) La prima domanda che pongo sempre nelle mie interviste è anche quella per la quale nutro estrema curiosità: cosa l'ha spinta ad iniziare a scrivere? In che modo e quando ha iniziato?
Ho sempre avuto una grande passione per la storia e per le storie, in particolare per i misteri lasciati indietro dal passato. Il primo libro, “I fantasmi dell’Impero” (Sellerio, 2017), è nato un po’ per caso, raccontando a due amici di alcuni documenti di archivio che avevo rinvenuto tra le carte del Viceré d’Etiopia Graziani, una storia che evocava il cuore di tenebra del colonialismo italiano.
Una volta rotto, per così dire, il ghiaccio, i romanzi successivi li ho scritti da solo, sviluppando altre storie sulle quali mi ero interrogato nel corso degli anni. Ho quindi affidato al mio inquisitore medievale, Yves le Breton, le indagini su alcuni di questi misteri. Così, Nel nome di Dio (Rizzoli, 2021) affronta il tema del processo e della condanna di Gesù di Nazareth. Che cosa realmente accadde duemila anni fa? Sono plausibili le ricostruzioni offerte dai Vangeli? I luoghi della Passione sono proprio quelli che vengono oggi mostrati a milioni di pellegrini? Ho immaginato che durante la crociata di Luigi di Francia, nel 1250, fosse rinvenuta a Gerusalemme una copia del rapporto inviato a Roma da Ponzio Pilato. Intorno a questo documento si scatena una caccia spietata. Lo cercano, nel campo cristiano, l’inquisitore Yves le Breton e i cavalieri Templari, in quello musulmano, Umberto di Fondi, un agente segreto ante litteram inviato da Federico di Svevia, e i Mamelucchi egiziani. L’avventura medievale, densa di intrighi e battaglie, è l’occasione per parlare non solo del processo a Gesù, ma anche della violenza che può scaturire dalla religione e del rapporto tra il Cristianesimo e l’Islam, il quale, al di là degli opposti integralismi, presenta più elementi in comune di quanto in genere si pensi. “Nel nome di Dio”, nel romanzo si uccide e si tortura, come purtroppo accade ancora oggi. Il secondo volume delle cronache dell’inquisitore è Il tesoro del diavolo (Rizzoli, 2022), ambientato quindici anni dopo il primo, all’epoca dell’invasione angioina dell’Italia meridionale. Yves le Breton e Umberto di Fondi sono ancora antagonisti, questa volta alle prese con il mistero di Atlantide. Ve ne era forse una traccia nel libro perduto di Polibio sulla distruzione di Cartagine, che narra di una stele sepolta tra le macerie della città con il racconto di un antichissimo viaggio oltre le colonne d’Ercole, che si dovrebbero a buon diritto chiamare colonne di Melqart, il dio punico. Lo spunto mi è venuto da un brano di Plinio il Vecchio, il quale racconta che dopo aver conquistato Cartagine Scipione inviò il suo segretario Polibio con dieci navi verso Occidente, per una missione misteriosa. Secondo Plinio, tornarono e dissero di non aver trovato nulla. Che cosa cercavano? E se non fosse stato vero che non avevano trovato niente?
2)Ne il tesoro del diavolo, si denota una grande ricerca e accuratezza di contenuto. È un appassionato di storia? La parte documentale dell'opera Le ha richiesto la maggior parte del tempo?
Come dicevo, sono un appassionato di storia e alla base di ogni romanzo c’è una ricerca accurata sulle fonti originali, spesso persino la visita dei luoghi. Per Il tesoro del diavolo, sono stato a Cartagine, a Montecassino, a Lucera e altrove. Ciò ha richiesto tempo, ma mi ha consentito di immaginare e descrivere meglio le vicende, i luoghi, i personaggi.
3)Le vicende narrate vedono muovere i fili Yves le Breton, inquisitore delegato dal papa. Un personaggio sicuramente particolare, devoto ma che viene trascinato anch'esso da spire di conoscenza e potere in qualche modo. Da dove nasce l'idea di affidare il ruolo di protagonista proprio a lui?
Sono sempre stato colpito dagli inquisitori e dall’intima contraddizione che molti di essi non potevano non avvertire: convinti di perseguire il bene, si ritrovavano a fare il male. Yves le Breton è ispirato a un personaggio realmente esistito, un frate domenicano che parlava arabo e che accompagnò Re Luigi di Francia nella crociata. Egli è un uomo di potere, devoto all’ortodossia cattolica, ma non il tipico inquisitore medievale, intransigente e spietato in nome della vera fede. È invece tormentato dal contrasto tra la sua intelligenza e la fedeltà al gravoso officium inquisitoriale affidatogli quando era ancora un ragazzo dal suo maestro. Ne Il tesoro del diavolo, con la maturità, ha rielaborato la propria inclinazione al dubbio, che per lui è ora uno stimolo divino per indurlo a non fermarsi all’apparenza delle cose, ma di fronte alla prospettiva di un nuovo mondo, si fa prendere da un grandioso sogno di conversione e spinge l’ultima crociata di re Luigi verso un altrettanto grandioso fallimento. Non è un inquisitore infallibile, ma commette anche gravi errori, come tutti.
4) Assolutamente utile l'idea di dividere i capitoli per periodo temporale. Dà un senso maggiore di ordine ed armonia. Un espediente che ho apprezzato molto. È stata un’esigenza anche per Lei in fase di stesura?
La scansione temporale dei capitoli conferisce ordine anche nella fase di scrittura, oltre a evocare un senso di cronaca che accresce il realismo della narrazione. Nei romanzi, inoltre, sono inseriti alcuni capitoli in flash back sul passato dei protagonisti o storie ambientate in epoca più antica, rispettivamente al tempo dell’imperatore Nerone (Nel nome di Dio) e della distruzione di Cartagine (Il tesoro del diavolo). La scansione temporale era quindi essenziale.
5) Ma nella sua vita che ruolo hanno i libri?
Un ruolo importante. Come diceva Petrarca, mentre le ricchezze materiali danno un piacere superficiale, i libri dilettano nel fondo dell’animo, parlano con noi, ci consigliano. Ne posseggo più di quanti riuscirò mai a leggerne…e continuo ad acquistarli.
6) Se si pone dall'altra parte e quindi in veste di lettore, ove orienta i suoi occhi? Genere preferito?
Leggo molto, per lo più saggi storici, ma anche classici latini e greci e narrativa contemporanea, soprattutto anglosassone. Paradossalmente, pochi romanzi storici, forse perché di veri romanzi storici non riesco a trovarne molti. Ho apprezzato, tra questi, Le Benevole di Jonathan Littell.
7) C'è qualche autore/ice che è fonte di ispirazione per Lei?
Fonte di ispirazione per la figura dell’inquisitore sono stati Il racconto del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov e Il nome della Rosa di Eco, anche se Yves le Breton è molto diverso sia dall’inquisitore di Dostoevskij sia da Guglielmo da Baskerville. Altra fonte di ispirazione è stata Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Un autore contemporaneo che ho molto apprezzato è stato Iain Banks, purtroppo prematuramente scomparso. Mi mancano molto i suoi romanzi e il suo universo immaginario della Cultura. Fantascienza, ma incredibilmente attuale.
8) Sta attualmente lavorando ad un altro libro? Magari ad un prossimo volume su Yves le Breton?
L’anno prossimo uscirà il terzo volume delle cronache dell’inquisitore con una inchiesta di Yves le Breton su una morte eccellente. Sto inoltre lavorando a un altro romanzo, il primo di una nuova serie ambientata nell’antica Roma.
9) Cosa vuole dire ai suoi lettori?
Che li ringrazio moltissimo e che sono felice di condividere con loro le storie che mi appassionano, sperando che siano di loro gradimento. Grazie anche a Lei per avermi offerto l’opportunità di questa intervista.
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